Editoriali

Viva gli Alpini!

Vicenza è imbandierata. Non ci sono solo i tricolori delle sedi istituzionali o quelli posizionati lungo le strade ad accogliere la pacifica invasione delle penne nere e accompagnarne sfilate e caroselli. La bandiera italiana sventola in questi giorni dalle finestre e dai terrazzi di moltissime case dei vicentini. Un clima di festa e di entusiasmo è nell’aria già da settimane e, complice anche l’inevitabile chiusura delle scuole, sembra contagiare davvero persone di ogni età ed estrazione sociale. Perché gli alpini suscitano sempre tanta simpatia? Certamente c’è una narrazione eroica (non esente da una certa retorica risorgimentale) legata alla Grande Guerra che, nonostante sia passato oramai più di un secolo, continua ad esercitare un suo fascino sull’immaginario collettivo. Pasubio, Ortigara, Grappa…sono le cime che circondano la nostra città, ma furono anche la prima linea, luoghi di furibonde battaglie e sanguinose carneficine, di quella logorante guerra di trincea che a carissimo prezzo portò a termine il nostro processo di riunificazione nazionale. Ma, pur nella consapevolezza del valore del sacrificio per la Patria, nei canti degli alpini non vi è traccia alcuna di esaltazione della guerra o della vita militare, ma solo la malinconia struggente per le tradotte militari, la vita di trincea, la lontananza da casa e dagli affetti più cari. Ed è proprio questo aspetto “umano” che penso abbia suscitato la simpatia per gli alpini, avvertiti sempre più come uomini che non come soldati.

Durante la seconda guerra mondiale anche gli alpini si trovarono a combattere, chiaramente, dalla parte sbagliata. Eppure anche qui, alla fine, prevalse la narrazione, forse un poco idealizzata, di un’umanità quasi connaturata a questo corpo militare, fino al punto da preservarlo dai crimini e dalle efferatezze della guerra, differenziandoli in particolare dalla durezza dei soldati tedeschi. È il pregiudizio positivo, tendenzialmente accettato anche all’estero, ma non esente da serie critiche storiche, degli “italiani brava gente”, diffusosi a livello popolare soprattutto grazie all’omonimo film del 1964 di Giuseppe De Santis sulla sciagurata campagna di Russia. Così, dopo quelli delle nostre montagne, l’altro nome capace di suscitare emozioni forti e commozione è ancor oggi quello di Nikolaevka, la battaglia simbolo in cui morirono migliaia di soldati italiani e dopo la quale i resti del nostro esercito si trovarono allo sbando, in quella tragica ritirata in cui tanti altri rimasero dispersi. Anche in questo caso gli alpini furono tra i principali protagonisti e la nostra città particolarmente coinvolta, come ci raccontano ad esempio Bedeschi e Rigoni Stern, con le loro narrazioni in cui più che di gesta militari, si parla di uomini armati di speranza e di umana solidarietà. Ed è proprio quest’ultima caratteristica che sembra essere sopravvissuta a due conflitti mondiali per giungere fino a noi oggi e che forse spiega più di ogni altra cosa la simpatia e la stima di cui godono gli alpini: quell’essere pronti al servizio che li rende ovunque impegnati gratuitamente e generosamente in attività di utilità comune, nella protezione civile, nelle parrocchie, nell’associazionismo. Se c’è una cosa che degli alpini vorremmo non andasse persa e fosse invece trasmessa alle nuove generazioni è proprio questa disponibilità al servizio. E allora, augurandoci che non abbia a tornare la leva militare per motivi bellici, auspichiamo invece che a tutti i ragazzi e le ragazze venga chiesto, tra il tempo della scuola e quello del lavoro, di dedicare un anno, o almeno sei mesi, a servizi socialmente utili. Per fare del bene agli altri, ma soprattutto per scoprire ciò che unisce e rende forti nei momenti difficili e dà davvero senso e valore alla vita.

Alessio Graziani

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